” DI CHE RAZZA SINE?”

Una domanda apparentemente strana ma che in alcune realtà significa tutto. Di che famiglia sei? Non basta dire il nome dei tuoi avi, il tuo cognome, devi dire la “razza”, il soprannome. Non ha nulla di razzista, chiariamo, non si intende la provenienza. In questa rubrica parliamo di soprannomi, quasi sempre indicativi di una particolarità fisica o di un aneddoto di vita. Oggi parliamo della famiglia “de piccirullu”.
Vissi de Piccirillu. Chi sono? Che significa? Nome che indicava un uomo, della seconda metà dell’ottocento,nonno di Antonio e Giuseppina, di piccola statura. Pinzuti il loro cognome. Cinque figli, un maschio e quattro femmine, Nicolina,Assunta, Rosa, Antonio, Giuseppina. Antonio piccolo di statura, non aveva figli e sposò una donna “forestiera”, di Vivaro Romano. Un uomo di una generosità disarmante, cucinava dei frittelli buonissimi. Spesso mandava noi ragazzini a prendergli delle cose alla bottega di Giancarlo, il più delle volte succedeva che il prosciutto che ci mandava a comprare veniva mangiucchiato durante il viaggio di ritorno, il cartoccio con il pecorino grattucciato veniva perso correndo. Mai un’alzata di voce, tanto che continuava a mandarci nonostante gli esiti delle commissioni. Quando si sposò il matrimonio fu celebrato a Vivaro, con il conseguente pranzo da fare ad Orvinio. Il viaggio fu effettuato a cavallo, su asini per la precisione. Subito sotto Orvinio, all’altezza del ponte, l’asino di Antonio si spaventò, lo fece cadere e colpì alle parti basse il povero sposo novello. Natalina, con ancora il vestito bianco esclamò “oddiu meu.. Avemo abbelato”.
I Pinzuti avevano uno spiccato senso dell’umorismo, Antonio, ma soprattutto Giuseppina, sua sorella più piccola. Donna dallo sguardo penetrante, occhi azzurri che ridevano ancora prima della bocca. Battuta sempre pronta, lasciò Orvinio per Roma, dove però tornava l’estate. Abitava durante il periodo estivo nella casa che fu di Antonio e Natalina. Colle zucco, a ridosso delle mura del castello. Si portava fuori una sdraietta, posizionava un comodo cuscino e tra una parola crociata, due giri di uncinetto e un saluto con chi passava si appisolava, ogni tanto rumorosamente. Spesso con i suoi figli ci divertivamo a stuzzicarla, ricevendo sempre risposte colorite e colorate. Giuseppina aveva due figli maschi, anche se in molti hanno creduto, lo credono ancora anzi, all’esistenza di una figlia, ma altro non era che sua nuora, Daniela, moglie di Gianni, ma visto il rapporto tra le due ci si stupiva fossero suocera e nuora. Giuseppina allietava le estati orviniesi nel suo rione. Rione che si ripopolava nei mesi estivi, ma che vedeva in lei un perno sociale importante così come lo era al suo centro anziani di Roma. Un pomeriggio di tanti anni fa pretendeva che suo figlio segnasse con un pennarello indelebile un puntino bianco vicino al grosso tasto verde del suo telefono. Inutili sono stati i tentativi di spiegarle che il verde era il tasto per rispondere. No, lei voleva anche il puntino bianco. Gianni obbedì, ma più per evitare di sentirla parlare della teoria del puntino bianco più chiaro del tasto verde.Donna che stava agli scherzi, una notte rientrando a casa notai che la luce in bagno era accesa, la ciao un piccolo sassolino contro il vetro. Dall’interno uscì chiaramente un “Robè? Vattene a casa, tanto lo so che sei tu”, ridendo. Carismatica, forte, la sua assenza si sente moltissimo. Capita di vedere quella sua sdraietta ad agosto, fuori casa, e sobbalzare credendo di poterla vedere apparire da un momento all’altro, pronta a riprendere possesso del suo trono.
Giuseppì? Giobbettina, anzi, come ti chiamava Aurora da piccola, quante sagne stai impastando per Natale?
Roberta De Sanctis