Il dialetto orviniese

Il dialetto orviniese è una parlata appartenente ai dialetti mediani italiani, nello specifico esso appartiene alla famiglia dei dialetti dell’Italia centrale sviluppatisi lungo l’asse Ravenna – Roma sin dai tempi più antichi. Quest’area, storicamente poi circoscritta dallo Stato Pontificio, ha generato una parlata alquanto omogenea seppur distinta in diversi ceppi autonomi. L’orviniese appartiene al dialetto sabino, dialetto comunque esteso anche alle aree del Cicolano e dell’Aquilano. In questo ambito il dialetto orviniese prende molte influenze dell’abruzzese:il suono “duro” delle vocali”, rispetto a quello più dolce del sabino propriamente detto (asse della Salaria). Il dialetto orviniese è pertanto contraddistinto dai classici termini reatini (ecco e loco per dire qui e li, ad esempio; oppure i termini stracco per stanco, termine che anche il cantautore Lucio Battisti, originario di Poggio Bustone, inserì in una sua canzone, le allettanti promesse). Uno studio molto elaborato del dialetto orviniese venne eseguito da Natalino Forte che, nel 2005, pubblicò un libro molto bello ricco di aneddoti, racconti, e poesie anche tradotte da Trilussa. Nel testo, oltre a raccontare la vita del paese, le persone e i fatti a loro collegati, c’è la volontà di “normare” e rendere codificabile la lingua orviniese a tutto campo. A tale scopo sono presenti le strutture grammaticali delle frasi, i verbi, le regole della grammatica per poter formulare le frasi e coniugare i verbi, che in alcuni casi aprono prospettive molto diverse rispetto all’italiano standard, come nella coniugazione dell’indicativo passato remoto e nel futuro del verbo andare:
ì; isti, ì, jèmmo; jèste, iru; irraio; irrai; irrà; irrau.
Oppure, sempre negli stessi tempi del verbo volere:
vòzze; volisti; vòzze; volemmo; volèste; vozzeru; orraio; orrai; orrà; orrau.

Il dialetto orviniese si esprime anche nei vari soprannomi che le famiglie si sono date nel corso dei secoli, così mio nonno Nicola Ragaglini era soprannominato Lu Negusse, forse per qualche strana assonanza con il “Negus neghesti”, l’imperatore “re dei re” d’Etiopia incoronato nel 1930. Altri soprannomi erano stati dati da un erede a quale ci si riferiva poi per la discendenza (de Merulone, de Barzano) di fatti accaduti (de l’anime sante, etc.). La peculiarità del dialetto venne utilizzata anche nella composizione di poesie, sonetti cantati e rappresentazioni teatrali, che nel corso degli anni si sono rappresentate nelle feste di paese e in occasioni speciali. Tutte volte a raccontare la vita e le abitudini degli abitanti del borgo. Questo lascito è ancora vivo oggi, dove il dialetto viene ancora parlato per le vie del borgo e usato nelle conversazioni tra la gente. Il suo ricordo e la sua permanenza sono un segno vitale dell’energia che la parlata esprime dei caratteri e nelle peculiarità delle persone che vivono a Orvinio. Dove il viverci per tanti non se cagna cò nisciunara città dellu munnu, e dove le persone Orvinio, non lu lasserrau mai solu, come scrisse Natalino Forte in una sua poesia.

Carlo Ragaglini

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