La fatica da Pandemia: quando il virus c’ha cambiato la vita

Dopo ormai un anno di convivenza con il SARS-CoV-2, virus responsabile del Covid-19, siamo tutti tristemente esperti di termini come lockdown, distanziamento, proteine spike, RNA… terminologia di uso comune grazie ai mezzi di divulgazione, ai dibattiti sostenuti da esperti, alle tavole rotonde con medici, politici ed economisti, alle novità sensazionalistiche buttate sui social per un “like” in più alle fake news rimbalzate da un canale all’altro con superficialità e mala fede. Il risultato finale: un frullatore di argomenti monopolizzanti che hanno mutato la nostra realtà in maniera radicale, rendendoci diversi da quelli che eravamo.

La cosa che più ci attanaglia è la mancanza di programmazione e l’impossibilità certa di un traguardo temporale da tagliare che ancora non vediamo. Questa estate cosa faremo? Ne saremo fuori? O magari il prossimo anno? Le attività riprenderanno? Per quanto tempo ancora dovrò portare la mascherina? Nasce così una “nuova patologia” che i nostri avi avevano conosciuto durante lunghi periodi di crisi come le due guerre mondiali e che oggi viene definita come “Pandemic fatigue”.

La fatica da pandemia è una risposta mentale alle situazioni associate alla crisi sanitaria che stiamo vivendo e che si stanno protraendo con risvolti di carattere sociale ed economico impattanti sulla tenuta della società stessa. Si diventa piano piano insofferenti alle regole che hanno cambiato la nostra realtà, ovvero le nuove abitudini che hanno ridotto la libertà di movimento e di relazione. Si abbassa la guardia, si fa più pressante la voglia di normalità e autodeterminazione dei propri comportamenti, con il rischio reale di infrangere le prescrizioni legislative esponendosi a rischi sanitari.

Questo perché, se nella prima fase della pandemia avevamo le risorse individuali e comunitarie per rispondere allo stress causato dal timore per la salute, ora le energie vanno esaurendosi e la novità non è più tale. La minaccia dei pericoli diventa più familiare e quindi meno impellente. Ci si abitua al pericolo, fino a normalizzarlo e dunque ci proteggiamo di meno. In molte persone inoltre uno stress prolungato porta ad una vera e propria serie di sofferenze come ansia, irrequietezza, disturbi del sonno e della condotta alimentare, spossatezza, depressione, utilizzo di sostanze psicotrope (soprattutto quelle legali come fumo, alcol e gioco d’azzardo) sino nei casi più estremi ad una vera e propria negazione del pericolo.

Ma come possiamo difenderci dallo stress? Innanzitutto dovremmo capire cosa attiene a noi e cosa dovrebbero fare gli altri. Ad esempio il governo centrale e le istituzioni locali (attraverso la comprensione della sofferenza dei propri cittadini senza limitarsi ai soli provvedimenti punitivi ma anche azioni propositive) i mezzi di comunicazione (in grado di raccontare la realtà senza terrorismo e infondendo una speranza realistica di superamento della crisi). E noi? A noi aspetta il difficile compito di accettare il fatto che siamo stressati e stanchi, cercando, per quanto possibile, di praticare tutte quelle attività che ne abbassano i livelli, come l’attività fisica, che si può fare anche in casa, lo yoga, la meditazione, la ginnastica dolce. Ma anche vedere i film che ci piacciono, i programmi televisivi che ci rilassano e allentano lo stato di tensione. Evitare magari di restare sempre in contatto con le notizie ma informarsi con regolarità per capire cosa stia accadendo senza sovraesposizioni.

Non serve vedere tutti i TG dell’intera giornata o seguire tutti i dibattiti, non serve collegarsi ad internet per sapere “i numeri di oggi”, ricordando che non sono numeri ma persone, come noi. Non dobbiamo sottovalutare la nostra situazione, ma ascoltare il corpo e la mente ed i segnali che ci invia (carenza di sonno, facile irritabilità, incapacità di assolvere ai propri doveri). Se ci sentiamo sopraffatti da sensazioni negative parliamone con un medico, perché mai come ora chiedere aiuto è un diritto inalienabile. Dobbiamo continuare a volerci bene, nonostante tutto, e a voler bene a chi ci circonda mediante il distanziamento fisico e non sociale. Ricordiamoci di fare qualche telefonata in più, mandare un semplice messaggio per sapere “come stai” e non dimenticarsi dei bisogni altrui che sono gli stessi nostri. Laviamo le mani, indossiamo correttamente la mascherina e esentiamoci oggi più di ieri una comunità.

Dott. Fabio Attilia

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