
La bella e signorile fontana pubblica di Orvinio sembra guardare dall’alto in basso i distratti passanti, con un’aria di nobiltà e forse anche un pizzico di supponenza. Sa infatti quanto i suoi limpidi zampilli siano costati fatica e denaro sonante a tutti gli orviniesi: Il desiderio di avere una fontana pubblica perenne non fu infatti impresa facile da realizzare e ne è testimonianza la storia, ricca di colpi di scena, che ci accingiamo a raccontare e che precede di oltre sessant’anni l’inaugurazione della fontana pubblica attuale, avvenuta nel novembre del 1885.
Nel marzo del 1821 alle porte di Canemorto si presentò un livornese, un certo Francesco Doni, che subito riscosse “credenza di uomo perito nella Idraulica facoltà”. Già perché “la mancanza nel Comune di Canemorto di una fontana pubblica e perenne tenne mai sempre angustiato il popolo del medesimo”. Il nostro Toscano era infatti un assai abile millantatore ed il primo a cadere nella trappola fu niente poco di meno che il Governatore di Canemorto.
Sembra infatti che “il Governatore allora di Canemorto si mostrasse pel primo credulo alle millantazioni del Doni”. Convinto dalle “sesquipedali parole, di cui van bisognosi gli Uomini di Toscana che il nostro perito nell’idraulica arte avrebbe reperito la tanta agognata Acqua, il Governatore di Canemorto ordinò il mantenimento di quel sedicente Idraulico a spese pubbliche fino a che tornato fosse da Roma a Canemorto Filippo Bernabei, facente funzione di Gonfaloniere”. Quest’ultimo, appena tornato a Canemorto, venne accolto come un novello pater patriae, tanto era il desiderio per la realizzazione di questa fontana perenne. Ma Filippo Bernabei, uomo evidentemente prudente, “non volle correre sì di galoppo come il Governatore avea caminato, né volle sbilanciare o parola, od arbitrio senza il voto e l’assenso di un Consiglio publico”.
Consiglio pubblico che sappiamo si tenne il 4 Aprile del 1821 ed in cui si discusse con toni animati, fino a rasentare il fanatismo, sul modo di finanziare la tanta desiderata opera pubblica. Filippo Bernabei, insieme a Giacomo Marcangeli, propose di anticipare la somma di 138 scudi per finanziare la spesa prevista, a patto di riceverne “in qualche modo il rimborso o per mezzo di riporto o nella esazione dei crediti della Comunità”. Questa somma era all’epoca, parliamo dello Stato Pontificio di Papa Pio VII, una bella somma di denaro. Basti leggere il diario di Roma del 1822 per rendersene conto: lo stipendio annuo di un maestro delle elementari a Rocca di Papa era di 80 scudi, l’onorario annuo per la condotta chirurgica nel comune di Ceccano, a Frosinone, era di 168 scudi e per la bella e signorile fontana pubblica di Orvinio sembra guardare dall’alto in basso i distratti passanti, con un’aria di nobiltà e forse anche un pizzico di supponenza. Sa infatti quanto i suoi limpidi zampilli siano costati fatica e denaro sonante a tutti gli orviniesi: Il desiderio di avere una fontana pubblica perenne non fu infatti impresa facile da realizzare e ne è testimonianza la storia, ricca di colpi di scena, che ci accingiamo a raccontare e che precede di oltre sessant’anni l’inaugurazione della fontana pubblica attuale, avvenuta nel novembre del 1885.
Nel marzo del 1821 alle porte di Canemorto si presentò un livornese, un certo Francesco Doni, che subito riscosse “credenza di uomo perito nella Idraulica facoltà”. Già perché “la mancanza nel Comune di Canemorto di una fontana pubblica e perenne tenne mai sempre angustiato il popolo del medesimo”. Il nostro Toscano era infatti un assai abile millantatore ed il primo a cadere nella trappola fu niente poco di meno che il Governatore di Canemorto. Sembra infatti che “il Governatore allora di Canemorto si mostrasse pel primo credulo alle millantazioni del Doni”. Convinto dalle “sesquipedali parole, di cui van bisognosi gli Uomini di Toscana che il nostro perito nell’idraulica arte avrebbe reperito la tanta agognata Acqua, il Governatore di Canemorto ordinò il mantenimento di quel sedicente Idraulico a spese pubbliche fino a che tornato fosse da Roma a Canemorto Filippo Bernabei, facente funzione di Gonfaloniere”. Quest’ultimo, appena tornato a Canemorto, venne accolto come un novello pater patriae, tanto era il desiderio per la realizzazione di questa fontana perenne. Ma Filippo Bernabei, uomo evidentemente prudente, “non volle correre sì di galoppo come il Governatore avea caminato, né volle sbilanciare o parola, od arbitrio senza il voto e l’assenso di un Consiglio publico”.
Consiglio pubblico che sappiamo si tenne il 4 Aprile del 1821 ed in cui si discusse con toni animati, fino a rasentare il fanatismo, sul modo di finanziare la tanta desiderata opera pubblica. Filippo Bernabei, insieme a Giacomo Marcangeli, propose di anticipare la somma di 138 scudi per finanziare la spesa prevista, a patto di riceverne “in qualche modo il rimborso o per mezzo di riporto o nella esazione dei crediti della Comunità”. Questa somma era all’epoca, parliamo dello Stato Pontificio di Papa Pio VII, una bella somma di denaro. Basti leggere il diario di Roma del 1822 per rendersene conto: lo stipendio annuo di un maestro delle elementari a Rocca di Papa era di 80 scudi, l’onorario annuo per la condotta chirurgica nel comune di Ceccano, a Frosinone, era di 168 scudi e per volsero ad infondere nell’avventuriero sedicente Perito Idraulico Doni quella scienza che non avea né fare si che la bramata acqua si rinvenisse. Onde accadde che il Doni prendesse vergognosamente la fuga, e la misera popolazione di Canemorto rimanesse a dolersi dell’accaduto inganno”. Il nostro perito idraulico prese dunque la fuga, dopo avere intascato oltre 200 scudi, lasciando nello sconcerto i consiglieri comunali, già preoccupati dal come riparare i danni arrecati alla stalla della famiglia Taschetti.
I quali consiglieri si rivolsero subito alla sacra Congregazione del buon governo, ma questa “e disapprovando la impresa e rigettando le umiliate preghiere diede anzi ordine al Delegato di Rieti di prender cognizione di questo fatto arbitrario e di far gravitare sopra di essi solamente le spese finora occorse, ed anche i danni derivati ai Vicini, ed ogni altra relativa conseguenza”. Filippo Bernabei e Giacomo Marcangeli vollero, giustamente, essere rimborsati della spesa da loro sostenuta e ne nacque una accesa disputa con relativa causa legale, per noi lettori di Orvinium evento quanto mai fausto perché ha permesso a questa vicenda di scampare a due secoli di oblio e giungere fino a noi. Per mancanza di spazio non possiamo purtroppo dilungarci sulle alterne vicende di questa causa, lunga e complessa. Ci limitiamo a ricordare che in prima istanza il Segretario della sacra congregazione del Buon Governo, l’illustrissimo e reverendissimo Monsignor Giovanni Conversi, nell’udienza tenutasi il 26 Settembre del 1823, si pronunziò a favore di un rimborso delle somme versate “sia colla solidale condanna di ciascuno degli obbligati uti singuli sia colla condanna dei medesimi pro virili”. Ma proprio quando i nostri due protagonisti stavano per essere rimborsati il segretario del Buon Governo ebbe la brillante idea di morire, lasciando la causa in lascito al suo successore, il cardinale Mario Mattei.
Il quale, così almeno ci è dato di capire, in secondo grado di processo sembrò esprimersi a favore delle suppliche degli “autori di quell’acquatico sconcerto” (cioè i consiglieri comunali di Canemorto), di fare cioè “un riporto generale su tutta la popolazione per non sentirne eglino soli il peso di un più ristretto riporto e che andasse a colpire i soli supplicanti autori e complici della spesa incautamente incontrata”. Purtroppo, non conosciamo l’esito del processo ed il documento consultato per quest’articolo si interrompe, è proprio il caso di dirlo, sul più bello senza dirci come andò realmente a finire questa intricata faccenda giudiziaria che coinvolse la comunità di Canemorto negli anni Venti dell’800. Ma in fondo è meglio così perché ogni lettore potrà costruirne un finale a propria guisa. A me piace pensare che, dopo avere letto questa storia, i nostri lettori si soffermeranno davanti alla bella fontana pubblica di Orvinio e sorrideranno pensando “all’acquatico sconcerto” che l’ha preceduta ed al sogno, realizzato sessant’anni dopo, di averne finalmente una vera, fatta di pietra e non solo delle millantate, sesquipedali parole del nostro sedicente perito!
Filippo Tani