
Se vi dicessero che Petra Demone è stata teatro di epiche battaglie, senza esclusione di colpi, tra Santi e Diavoli stentereste a crederci, e non ve ne faremmo una colpa, eredi come siete dell’età dei Lumi. Ma se avrete la pazienza di seguirci nel nostro racconto ve ne convincerete senz’altro. Caliamoci allora nel cosiddetto “saeculum obscurum”, periodo storico a cavallo dell’anno Mille, che, come il nome lascia facilmente presagire, fu un’epoca di profonda crisi politica e spirituale per l’Europa intera ed il Papato. Neanche gli ordini monastici, tra cui il celebre ordine di San Benedetto, vennero risparmiati dalla generale decadenza dei costumi. Il monastero di Montecassino era al centro di incessanti lotte di potere: nel 996 il vescovo di Marsico, Alberico, volendo impossessarsi dell’abbazia per darla al figlio, avuto da una concubina (sic!), non esitò a fare catturare l’abbate Mansone, celebre per la vita licenziosa che conduceva, e a fargli cavare gli occhi che gli scellerati monaci da lui assoldati gli recapitarono avvolti in un panno di lino! Ma è proprio in questo desolante quadro che emerse una figura di assoluto rilievo, sconosciuta ai più e la cui vicenda terrena e spirituale è fortemente legata, come presto vedremo, ai Monti Lucretili. Stiamo parlando di San Domenico di Sora, formidabile monaco eremitico e cenobitico, multorum fundator cenobiorum, la cui incessante opera di predicazione ed evangelizzazione precede, contribuendo a gettarne le basi, la ben più celebre riforma di Gregorio VII.
Leggendo la “Vita vel obitus sancti Dominici confessoris” (nell’edizione critica curata dallo storico francese F. Dolbeau), scritta nel 1060 da Alberico (diacono di Montecassino, maestro di retorica e famoso agiografo) scopriamo che San Domenico di Sora nacque nella città umbra di Foligno attorno alla metà del X secolo e cominciò gli studi nel monastero di San Silvestro. Alberico ci dice, ammirato, che San Domenico fosse già un bambino di straordinaria saggezza e maturità per la sua età, un “puer senex” a suo dire. Ma come Abramo, nel celebre racconto biblico della Genesi, aveva abbandonato la sua terra e la sua famiglia così Domenico decise ad un certo punto di lasciare la sua città natale, inizio dell’itinerario geografico e spirituale che lo avrebbe condotto alla santità, per dirigersi verso il “Monasterium Sanctae Dei Genitricis Mariae Virginisque Perpetuae”, il monastero dedicato a Santa Maria sempre Vergine Madre di Dio. Ed è a questo punto che i lettori Orviniesi cominceranno a trovare interessante la vicenda di San Domenico. Questo santuario era infatti situato sui monti Lucretili e più precisamente a Petra Daemonis. Secondo Alberico il nome originale, non corrotto, del luogo doveva essere stato quello di Petra Dei Ammonis, perché sulla sua cima vi era una statua dedicata a Giove Ammone. Come i lettori di Orvinium sanno (avendo già trattato l’argomento in un precedente numero), sulla cima di Petra Demone, l’attuale Cima di Coppi, vi era effettivamente un altare dedicato a Giove ma venerato in quanto nume tutelare delle vette, cioè con l’epiteto di Cacumenario o Cacuno. Nel Regesto di Farfa si fa menzione dell’esistenza, nel 1011, di una pertinentia nel luogo detto Petra Doemone ma grazie al racconto di Alberico sappiamo ora che il castellum ed annessa pertinentia di Petra Demone esistevano già nella seconda metà del X secolo, all’epoca cioè di San Domenico. Dal racconto di Alberico apprendiamo che nel monastero di Petra Demone sotto la guida dell’abbate Donnoso, uomo di straordinaria santità, San Domenico vestì l’abito benedettino, abbracciando la celebre regola dell’ordine “ora et labora”. E qui Alberico, in evidente ammirazione, non lesina aggettivi per descrivere la santità di Domenico, citando la sua estrema parsimonia nel mangiare, le interminabili veglie notturne, le innumerevoli ore passate pregando e leggendo le Sacre scritture, l’osservanza della disciplina monastica in tutte le sue regole, così straordinaria e memorabile. Divenuto perfetto, consummatus ci dice, nella vita cenobitica, e preparato come un agguerrito legionario ai combattimenti spirituali ex acie fraterna, cioè dalla schiera dei frati, Domenico, dopo averne domandato l’autorizzazione a Donnoso, si recò su un monte non lontano da Petra Demone, per potere combattere con il proprio braccio e la propria mano, l’antico nemico del genere umano, il Diavolo! Quale sia questo monte non lo sappiamo né probabilmente mai lo sapremo, forse il Monte Pellecchia, il Monte Castellano o qualche altra vetta minore dei Lucretili. Sta di fatto che su questo monte San Domenico ingaggiò una terribile battaglia contro il Diavolo, dalla quale sarebbe uscito, per nostra fortuna, vincitore. Ma a questo punto Alberico aggiunge, citando i Vangeli, che, come si non può nascondere una città posta sopra la cima di un monte od occultare sotto un moggio una lampada illuminata di luce divina, così si sparse, tra gli abitanti del luogo, la voce che un santo si nascondeva nei più remoti recessi di quelle montagne. Ed il giaciglio dell’umile servo di Dio venne, dopo lunghe ricerche, infine trovato. Citando il poeta Orazio ed in tono aulico, Alberico aggiunge che la fama diede a San Domenico le ali, e con volo veloce trasportò il santo uomo per villaggi e città, sulle torri dei ricchi e nelle taverne dei poveri, persino nelle baracche dei pastori. Cosa aspettarsi di più a questo punto? La sua fama giunse alle orecchie del potentissimo marchese Uberto (probabilmente figlio del duca di Spoleto Teobaldo e signore della Sabina) spingendolo addirittura ad inerpicarsi per i ripidi pendii di Petra Demone per vedere di persona il santo monaco e soprattutto per ascoltarne le famose predicazioni, che accendevano negli animi un desiderio di vita eterna, ad perennis uitae cupidinem ci dice Alberico. Uberto cominciò allora con insistenti e continue preghiere a domandare a San Domenico di costruire un monastero sulle sue terre e San Domenico alla fine cedette alle suppliche del potente marchese, fondando a Scandriglia il monastero di San Salvatore, il primo di una lunga serie. Dopo avervi richiamato grazie alla sua santità una folla di monaci osservanti ed affidatone il governo all’abbate Costanzo, uomo di grande fiducia, ritenendo conclusa la sua opera di evangelizzazione sui monti Lucretili, partì alla volta degli Abruzzi e del Lazio meridionale con il fidato compagno Giovanni. Petra Demone ed i Lucretili sono stati dunque, con la loro selvaggia e mistica bellezza, l’inizio della parabola umana, terrena e celeste, di San Domenico, parabola destinata a concludersi, nell’anno del Signore 1031, nel monastero di Sora da lui stesso fondato ma questa è tutta un’altra storia.
Filippo Tani