Siamo lieti di comunicare che Arci Moka Letteraia aps è rientrata nel progetto “Spazio Aperto – per una educazione di qualità, equa ed inclusiva” di Arci Rieti, portato avanti con la vincita del Bando della Regione Lazio “Comunità Solidali 2019”. Il progetto riguarda un doposcuola che interessa principalmente i bambini in età scolastica elementari – medie con attività previste da DPCM. Si sarebbe dovuto articolare nel periodo Marzo – Giugno 2021, con la possibilità di essere replicato anche per il prossimo anno, purtroppo il passaggio del Lazio da regione gialla a regione rossa non ci ha permesso di poter iniziare nel tempo previsto, abbiamo dunque slittato l’inizio al 15 maggio, in zona gialla. aspettare. Lo slittamento ha comunque favorito l’avvicinarsi della bella stagione, perciò la possibilità di svolgere attività all’aperto, ambiente più sicuro.
La nostra idea è stata quella di un doposcuola che non fosse necessariamente il recupero delle materie o aiuto compiti ma la creazione di un ambiente che favorisca l’apprendimento attraverso la natura creativa, spontanea e curiosa insita nei bambini, utilizzando la forma teatrale, che inserito nel contesto scolastico torna ad essere ciò che era per i greci: educazione sociale; ciò che era per il rinascimento: istruzione; ciò che è in epoca moderna: creazione etica-morale. Il “gioco drammatico” della rappresentazione teatrale, gestita completamente dai bambini stessi coadiuvati ed aiutati dagli adulti, nel massimo rispetto delle disposizioni anti-covid, agevola ed insegna ad apprezzare materie e riconsiderarle, aiuta la crescita della collaborazione all’interno di un gruppo, i bambini sono chiamati a: risolvere problemi; prendere delle decisioni; ascoltare idee degli altri e collaborare; imparare ad organizzare.
I bambini saranno massimo 16, divisi un 4 gruppi di lavoro per non creare assembramenti. Il tema avrà la struttura del Decamerone : 15 bambini si incontrano in un paese che non esiste, di fantasia, nel periodo del covid per raccontarsi storie su come immaginano il futuro. Ognuno dei gruppi dovrà: inventare una storia, basata su un tema di attualità e metterla in scena, utilizzando i personaggi e delle linee guida di un libro che verrà loro assegnato e riadattare la storia con la propria fantasia. Creare la scenografia con materiali di riciclo e con l’aiuto della Land Art; creare i costumi con materiali di riciclo; comporre e cantare una canzone. Verranno assegnati loro i compiti qui di seguito in cui si toccheranno varie materie: LETTERATURA: lettura di un libro e scrittura di una storia 1) Verrà assegnato ad ogni gruppo un libro a cui ispirarsi che leggeranno a voce alta nella nostra biblioteca, come un circolo di lettura. La scelta dei libri è basata sul passaggio da un mondo della realtà ad uno di fantasia: Peter Pan: Alice nel paese delle meraviglia; Il Mago di Oz; Le cronache di Narnia: Il leone, la strega e l’armadio. 2) Verrà fatto vedere loro anche il film tratto dal libro assegnato 3) Corso di scrittura di una sceneggiatura e stesura ARTE VISIVA: creazione della scenografia 1) Corso base di disegno 2)Corso di riciclo creativo: plastica; stoffa; carta; metallo. 3)Corso di Land Art (creazione artistiche basate su materiali trovati in natura come ramoscelli e sassi) 4) Progettazione e creazione della sceneggiatura con le nozioni apprese MUSICA: composizione insieme ad un’insegnate di musica, di una canzone e dei rumori d’ambiente 1) Creazione di una “stazione musicale” con piccoli strumenti fatti a mano dai bambini con materiali di riciclo 2) Composizione e interpretazione di una canzone COSTUMI: Creazione dei costumi di scena con materiali di riciclo Per i primi tre mesi i bambini progetteranno e realizzeranno le varie parti e nell’ultimo mese verranno occupati dalla recitazione e dalle prove. Alla fine verrà portata in scena come un saggio di fine anno e verrà assegnato loro un attestato. 8 MAGGIO: Giornata di incontro con gli insegnati e iscrizioni 15 MAGGIO: Inizio doposcuola
Un anno di pandemia ha modificato il nostro stile di vita ma a modificarsi sono state soprattutto le nostre esigenze, i nostri bisogni e le priorità. Di ciò si è discusso nella conferenza streaming avvenuta dalla Sala Tevere della Regione Lazio, alla cui visione sono state invitate anche le associazioni di volontariato e di promozione sociale, voluta da Alessandra Troncarelli, Assessore alla politiche sociali , beni comuni e ASP Regione.
Alla vigilia della programmazione 2021/27,attraverso la quale l’UE metterà a disposizione 330 miliardi di euro per il finanziamento di progetti regionali e locali per la riduzione delle disparità economiche, stimolare le ripresa dalla pandemia e sostenere le transizioni green e digitale, la grande domanda è se sia possibile ancora continuare a programmare e progettare sulla base dello stesso sistema che ci ha portati fin qui o se c’è bisogno di scelte coraggiose, di una coesione con tutti gli attori scesi in campo a livello sociale, per immaginare, ripensare un nuovo modello che come punto centrale abbia la persona e le sue nuove esigenze. In breve il vecchio sistema ha fallito ed ora abbiamo bisogno di ricostruire dalle macerie. Ed è proprio qui che il Terzo Settore è chiamato per la prima volta a fare la sua parte essendo finalmente riconosciuto come valido partner, insieme ai sindacati, alle cooperative, all’ ANCI e ai rappresentati delle Pubbliche Amministrazioni.
A sancire al sua validità sono arrivati legittimi strumenti: il nuovo Codice del Terzo Settore, con l’inserimento dell’art. 55, che legifera su come le Pubbliche Amministrazioni debbano individuare Enti del Terzo Settore con cui attivare il partenariato mediante forme di accreditamento nel rispetto della trasparenza ed imparzialità, partecipazione e parità di trattamento. La Pubblica Amministrazione deve specificare gli obiettivi generali e specifici degli interventi da realizzare, la durata e la caratteristica, particolarità che sono essenziali per poter operare la scelta dell’Ente partner adatto alla co –programmazione ( l’individuazione dei bisogni da soddisfare, degli interventi e della modalità di realizzazione e delle risorse disponibili ) e la co – progettazione ( la definizione ed eventuale realizzazione dei progetti basati su quei bisogni ) . Il protocollo per l’applicazione dell’art. 48 del Decreto Cura Italia, sottoscritto da Regione Lazio, ANCI Lazio, Forum del Terzo Settore Lazio, Legacoopsociale Lazio, Confcooperative Federsolidarietà Lazio, AGCI Lazio, CNC, CGIL CISL e UIL per riattivare i servizi sociali ed educativi ad oggi sospesi. Sempre dal Codice del Terzo Settore, l’art. 72 stabilisce che il Fondo istituito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, previsto dall’art 9, comma 1, lettera g) della legge 6 giugno 2016 n.106, possa essere destinato a sostenere attraverso le reti associative lo svolgimento delle attività e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale fondazioni del Terzo Settore iscritti nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore.
Strumenti per ideare e strumenti per concretizzare. Infine, il neo costituito Consiglio Regionale del Terzo Settore e le linee guida danno finalmente corpo e struttura all’importanza del Terzo Settore. In cosa il Terzo Settore sarebbe di essenziale aiuto? Dalla conferenza si apprende che un obiettivo della Regione Lazio, che punta a diventare un modello da ripetersi in altre regioni, è quello di trasformare i luoghi in “luoghi di cura della persona”, un benessere inteso come Ben-Vivere, in cui i Poli Civici diventino “Case del Welfare”, per la lotta alle diseguaglianze, per la transazione ecologica verso il green, per l ‘agricoltura sociale, in una fusione tra chi cura e chi viene curato. Un nuovo modello, probabilmente molto più umano. Ma come può effettivamente il Terzo Settore essere utile al ripensamento di una modalità di vita differente? Ce lo spiegano alcuni dati riportati in fase di conferenza e dei pratici esempi, partendo da un dato certo: chi ha risentito più di tutti della pandemia sono state le donne, i bambini/ragazzi, gli anziani, i disabili e chiunque verteva in una situazione di povertà che ora è allo stremo. Bambini: una associazione può essere sicuramente d’aiuto nella realizzazione dell’idea regionale di una scuola che sia capace di rimanere operativa anche in zona arancione e rossa, ad esempio con programmi di outdoor education. Anziani: l’aumento di uso di psicofarmaci da parte di anziani e giovani del 62% fa riflettere su quanto sia profondo il malessere psicologico ed emotivo che crea l’aver perso l’aggregazione, lo scambio sociale; gli anziani nelle RSA sono il 3% degli anziani totali ma di quel 3% delle RSA ne è morto di covid il 40% cosa che racconta come nelle strutture di assistenza si muoia 15 volte in più che nelle proprie case in cui si è assistiti da familiari e dal proprio medico di famiglia.
E allora il Terzo Settore può agire con le “Case per gli anziani” che sostituiscano le RSA e riconvertano gli operatori del settore con un occhio di riguardo alla loro sicurezza; puntare sull’invecchiamento attivo, motivo per cui i Centri Anziani, ora chiusi, dal 14 Luglio del 2020, devono costituirsi associazioni di promozione sociale o la loro gestione, pur rimanendo un servizio pubblico del Comune, essere affidata ad una aps che abbia fra le proprie finalità la presa in cura dell’anziano, in questo modo, con le attività che possono svolgere sotto la formula aps, si riportano gli anziani ad essere utili al benessere proprio ed a quello sociale della comunità. Giovani: il Rapporto Ocse-Pisa racconta come il percorso di studi STEM venga poco considerato in generale ma soprattutto dalle giovani donne, poche di loro si indirizzano ad ingegneria o verso materie scientifiche e tecnologiche, quando ormai sono le figure professionali più richieste, questo è ancora un grande gap culturale della mentalità italiana.
Ed anche qui il Terzo Settore può operare con formazioni che incoraggino questo corso di studi e ne spieghino l’importanza attuale e futura. Donne: il 98% di chi ha perso il lavoro in pandemia sono donne, rimaste in casa per seguire figli in DAD e difficilmente lo ritroveranno, perché l’Italia ancora non è pronta alla parità di genere in ambito lavorativo; i dati ci raccontano purtroppo dell’aumento di violenze e maltrattamenti, di donne costrette dal lockdown a vivere a costante contatto con il proprio aguzzino. E ancora, le associazioni si prendono cura delle donne in difficoltà, dei disabili, dell’inserimento degli immigrati, si occupano di assistenza domiciliare, di pacchi spesa, mettono a disposizione i propri spazi per le vaccinazioni. Le Pubbliche Amministrazioni che non possono dotarsi di nuovo personale, con l’art. 72 del codice, potranno avvalersi del Terzo Settore che potrà formare e reclutare personale specializzato. Con le nuove linee guida, le cooperative, associazioni con connotazione d’impresa, non dovranno pagare più lo scotto della gara a ribasso d’asta perché riconosciute validi partner.
E questi sono solo esempi su come il Terzo Settore, da ora in poi, sarà un attore di grande importanza. In conclusione, il futuro è allora il nuovo modello di collaborazione fra Pubblica Amministrazione ed associazioni operanti sul territorio, che insieme formano quello che è il front-office capace di capire ed intercettare le nuove esigenze e realizzare progetti seguendo una comune linea di intesa.
S. Antoniu de padova E’ natu a lisbona Da na famiglia bona, Li 15 d’austu 1195 Lu chiamaru fernandu Va a pensa’ che deventava santu Ha studiatu co li agostiniani Li frati co li panni chiari Nel 1220 fu ordinatu prete A 25 anni pare non ce se crete Dopu e entratu co li francescani Veste li panni scuri Piglia lu nome de antoniu Va in missione in maroccu E se ammala purtroppu Decide de rei in portocallu Che e’ piu’ facile curallu Mentre steanu allu mediterraneu La tempesta porta la nave in sicilia Co lu tempu resale tutta l’italia A bologna fa la scola A padova comenza la missione E se mette a predecane Pe le chiese e pe le piazze E la gente corre a masse Dovette in campagna pe li prati Cosi’ tutti ce furu entrati Se retira a campu s. Pieru E loco s’e’ ammala’ de novu Ha espressa la volontane De l’a padova a morine Nel 1231 a 36 anni E’ tornatu allu creatore A orviniu e’ statu sempre festeggiatu Me lo recordo da monellu Eranu tempi duri, se faticava Ma pe la predissione gnisiunu mancava Lu campanile non e’ ne’ quadratu ne’ rotunnu E’ sbilluncu Vello che ve sto’ pe dine Non me l’hau raccontatu Me ce so’ mmattutu Era nell’anni ’50 e iu stea allu comitatu Era finita la novena Della sera prima Se sonavanu le campane, Quattru giovanottilli Sallu allu campanile come rilli Tutti 4 sattaccanu allu campanone Che e’ cascatu sopra allu ntaulatu E’ remasu rittu e non s’e’ sfonnatu S’e’ sentitu un gran bottu e so’ strillatu Mau respostu prontamente Non e’ successu gnente S. Antoniu c’ha pensatu A mantene’ lu ntaulatu E’ grazia veramente Lo dicea tutta la gente Pare che li veda mone Lu giornu appressu in pridissione La gente li tirementea La croce se facea E s. Antoniu rengraziava
L’acronimo “WWOOF” originariamente stava per Working Weekends On Organic Farms, oggi ha il significato World Wide Opportunities on Organic Farms. Si tratta di una rete internazionale che mette in contatto fattorie biologiche, realtà rurali di vario tipo, individuali, collettive, familiari con persone che in cambio di vitto e alloggio offrono una mano nei lavori agricoli. Ma l’ambito di scambio è molto più ampio del semplice lavoro.
Le persone che arrivano, dette wwoofers, presso le fattorie ospitanti, dette hosts, si immergono nella quotidianità di una vita agricola e, provenendo in genere dalla città, sperimentano una vita a contatto con la natura completamente diversa da quella da cui provengono. I periodi di permanenza variano da una settimana ad alcuni mesi, alcuni ritornano, con alcuni si rimane in contatto, di altri non si sa più niente.
Capita che, dopo alcuni anni qualcuno richiami per raccontare che ha finalmente trovato un terreno da acquistare per iniziare un’attività agricola, per realizzare un sogno, e chiede consigli e… ti commuovi perché ti accorgi di essere stato una piccola ma importante tappa nella loro vita!
Sono sette anni che ospitiamo persone di età e provenienze diverse, alcuni sono arrivati a piedi, alcuni in coppia, la maggior parte viaggia da sola. Le storie sono tante quante sono le persone ed ogni volta è un pezzetto di mondo che arriva e arricchisce chi ospita. I wwoofers possono arrivare da molto lontano, Giappone, Brasile, Australia, ma anche da molto vicino, da Roma o Castelnuovo di Farfa ad esempio! Ogni volta è un esercizio di convivenza che aiuta a non chiudersi in piccole rigidità fatte di abitudini in fondo superabili e, allo stesso tempo, a riconoscere quali sono quegli ambiti personali invece importanti che vanno preservati in quanto tali, in altre parole, imparare a riconoscere le necessità altrui e le proprie e imparare a rispettarle, tutte.
Tante persone sono passate ed ognuna ha poi portato via un pezzetto di questo luogo nel proprio cuore, non solo della vita in comune con noi, ma anche del luogo che le ha ospitate. Julie e Cecilia da Seattle, le prime giovanissime wwoofer che arrivarono qui sette anni fa, appassionate di Tolkien esclamarono estasiate “ma questa è la Terra di mezzo!” guardando le montagne che circondano la nostra casa. Giulia da Roma: “Cercavo una realtà nelle vicinanze e non conoscevo la Sabina, ancor meno l’Alta Sabina e mi sono meravigliata di scoprire un luogo tanto ricco di biodiversità, curato, dall’aria leggera, così vicino a Roma” Andrea da Palestrina: “Sono arrivato ad Orvinio a piedi attraversando i monti Lucretili. Avendo vissuto in un paese più grande, mi ha colpito che qui la natura è molto predominante e avvolge completamente un borgo storico molto bello.”
“6 Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. 7 Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. 8 La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva. 9 Allora Pilato rispose loro: «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?». 10 Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. 11 Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. 12 Pilato replicò: «Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». 13 Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». 14 Ma Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Allora essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». 15 E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso”
Molti di voi iniziando a leggere l’articolo si saranno chiesti..”con tutti i passi della Bibbia che parlano della Santa Pasqua perché scegliere proprio questo..” È vero,ci sono molti punti nella Bibbia e molti significati si celano dietro il messaggio salvifico della Santa Pasqua, il più importante sicuramente è la RESURREZIONE di Gesù che ci libera dalla schiavitù del peccato, e tutti noi, chi più credente o meno,sappiamo che questo giorno è la festa più importante del mondo cristiano………….ma ho scelto questo passo perché ,queste poche righe del Vangelo di Marco, ci parlano di un Gesù solo, abbandonato, disprezzato e condannato che con il suo silenzio dimostra il suo grande amore per l’umanita,un amore cosi incondizionato umile e silenzioso che lo porterà a morire in croce per la nostra salvezza. Allo stesso tempo, in questo passo del Vangelo, viene rappresentata tutta l’ipocrisia del popolo di Gerusalemme che nella domenica delle Palme accolse festoso l’ingresso di Gesù per poi voltargli le spalle pochi giorni dopo. A voltare le spalle a Gesù non fu solo il popolo di Gerusalemme,ma a distanza di 2000 anni noi stessi tutti i giorni gli stiamo voltando le spalle e continuiamo a crocifiggerlo con le nostre vite e con i nostri peccati. Lungi da me dilungarmi in morali o prediche, però penso sia giusto raccontare la verità dei fatti, stiamo costruendo un mondo che ogni giorno è sempre più lontano da Dio,un mondo costruito sull’apparenza, dove insegnamo ai nostri ore di catechismo,gli oratori e la Santa Messa ormai sono strereli perdite di tempo o cose da generazioni passate. Nella costante ricerca del progresso e del successo, dimentichiamo l’essenziale della vita, man mano che passano gli anni ,la cultura contemporanea insegna alle nuove generazioni a vivere una vita frivola e apparente, dove non c’è spazio per un Dio sempre più disprezzato e umiliato. Alla luce dei fatti, la più grave crisi che le nostre società vivono nel XXI secolo è la profonda ignoranza di chi sia realmete Dio e della sua importanza nelle nostre vite.Un Dio di amore,pace,serenetià ,concordia e prosperità, ormai viene descritto come un Dio giudicante , nascosto e insignificante….. Non capiremo mai l’importanza della Pasqua se non torneremo alle radici della nostra cultura e della nostra fede, rimettendo Dio al centro delle nostre vite, tornando a amare le cose semplici e pure e riscoprendo che ,Dio semplicemente è , il nostro migliore amico, il nostro miglior confidente e cosa più importante è amore nella sua forma più vera,bella e pura. Tutto il nostro futuro e tutto ciò che faremo non avrà alcun senso se non verrà costruito insieme a Dio. Siamo nati per amare e solo l’amore ci salverà. Vi auguro di passare una serena e felice Pasqua nelle vostre famiglie.
Nelle immediate vicinanze di Orvinio, lungo la strada che porta alle Pratarelle e poi a Scandriglia, sorge, su un’altura e posta a guardia della valle Muzia, tra ruderi disabitati, la chiesa medievale, poi ricostruita in forme rinascimentali, di Santa Maria di Vallebona. Essa appartiene indissolubilmente alla storia del paese di Orvinio ed a tutti gli abitanti, che ad essa sono molto legati, tanto da farne ripetutamente durante l’anno meta di processioni. La Storia di questo luogo si perde nei meandri del tempo, si narra che “un giorno un pastore stava tagliando l’erba nei pressi della vecchia Vallebona. Ad un tratto, udì un grido e guardando il suo falcetto lo vide sporco di sangue. Cercando fra le foglie vide l’immagine della Madonna, ferita ad un labbro. Riavutosi dallo stupore, prese l’immagine e la portò nella Chiesa di San Nicola ad Orvinio, ma la mattina seguente era scomparsa: era tornata a Vallebona. Allora i fedeli, capendo che la Madonna aveva ormai scelto la sua casa, raccolsero i fondi per far edificare una chiesa sui ruderi del vecchio castello”. Il nuovo santuario, precedente all’originario realizzato a seguito del miracolo, venne edificato nel 1643, secondo il registro conservato nell’abbazia di Farfa, precisamente nel vecchio borgo di Vallebona, ormai disabitato dato che i suoi abitanti l’avevano abbandonato trasferendosi in maggior parte ad Orvinio, allora chiamato Canemorto. Nel 1723 si documenta che ne divenne la protettrice. La chiesa si presenta con un prospetto sobrio e semplice, dovuto anche al fatto che per la sua costruzione si contò solo sulle donazioni popolari. L’impianto è infatti a unica navata, con tetto a capanna con due falde, in legno e copertura in coppi, l’interno, invece, venne impreziosito da tele ed affreschi opera di Vincenzo Manenti e di altre maestranze locali, una parte di essi è purtroppo andata perduta a causa del degrado del controsoffitto a cassettoni della chiesa poi crollato, oggi non più esistente. L’interno è suddiviso dai due altari laterali, con due tele di carattere mariano e la parte dell’altare principale, realizzata interamente dal Manenti, con decorazioni a tutta parete e al centro la storica immagine della Madonna, intenta ad allattare il piccolo Gesù con il seno.
La chiesa, molto amata dagli abitanti, è inserita in un contesto di particolare bellezza naturalistica dovuta alla presenza di preesistenze anteriori, presumibilmente di epoca medievale precedenti all’età dei Comuni, oggi si possono osservare tracce superstiti delle antiche mura difensive, un perimetro di cinta quasi intero, con i resti di tre torri di difesa, di cui una alta una ventina di metri, in precedenza ancora più alta prima che un fulmine ne facesse rovinare a terra una parte. Essa era forse la torretta di guardia divenuta in seguito il mastio di un castello. Non possiamo saperlo. L’effige della Madonna di Vallebona venne resa canonica ad opera dell’incisore orviniese Girolamo Frezza che nel 1740, poco prima di morire, ne fece un’incisione poi riprodotta su molte cartoline, fino ai nostri giorni.Oggi, a seguito di progetti di recupero, si sta restaurando l’antico cammino della via Crucis che, partendo dalla valle, sale sino al santuario, aprendosi a scenari e panorami che conciliano la devozione con la scoperta di questi luoghi del cuore.
La bella e signorile fontana pubblica di Orvinio sembra guardare dall’alto in basso i distratti passanti, con un’aria di nobiltà e forse anche un pizzico di supponenza. Sa infatti quanto i suoi limpidi zampilli siano costati fatica e denaro sonante a tutti gli orviniesi: Il desiderio di avere una fontana pubblica perenne non fu infatti impresa facile da realizzare e ne è testimonianza la storia, ricca di colpi di scena, che ci accingiamo a raccontare e che precede di oltre sessant’anni l’inaugurazione della fontana pubblica attuale, avvenuta nel novembre del 1885.
Nel marzo del 1821 alle porte di Canemorto si presentò un livornese, un certo Francesco Doni, che subito riscosse “credenza di uomo perito nella Idraulica facoltà”. Già perché “la mancanza nel Comune di Canemorto di una fontana pubblica e perenne tenne mai sempre angustiato il popolo del medesimo”. Il nostro Toscano era infatti un assai abile millantatore ed il primo a cadere nella trappola fu niente poco di meno che il Governatore di Canemorto.
Sembra infatti che “il Governatore allora di Canemorto si mostrasse pel primo credulo alle millantazioni del Doni”. Convinto dalle “sesquipedali parole, di cui van bisognosi gli Uomini di Toscana che il nostro perito nell’idraulica arte avrebbe reperito la tanta agognata Acqua, il Governatore di Canemorto ordinò il mantenimento di quel sedicente Idraulico a spese pubbliche fino a che tornato fosse da Roma a Canemorto Filippo Bernabei, facente funzione di Gonfaloniere”. Quest’ultimo, appena tornato a Canemorto, venne accolto come un novello pater patriae, tanto era il desiderio per la realizzazione di questa fontana perenne. Ma Filippo Bernabei, uomo evidentemente prudente, “non volle correre sì di galoppo come il Governatore avea caminato, né volle sbilanciare o parola, od arbitrio senza il voto e l’assenso di un Consiglio publico”.
Consiglio pubblico che sappiamo si tenne il 4 Aprile del 1821 ed in cui si discusse con toni animati, fino a rasentare il fanatismo, sul modo di finanziare la tanta desiderata opera pubblica. Filippo Bernabei, insieme a Giacomo Marcangeli, propose di anticipare la somma di 138 scudi per finanziare la spesa prevista, a patto di riceverne “in qualche modo il rimborso o per mezzo di riporto o nella esazione dei crediti della Comunità”. Questa somma era all’epoca, parliamo dello Stato Pontificio di Papa Pio VII, una bella somma di denaro. Basti leggere il diario di Roma del 1822 per rendersene conto: lo stipendio annuo di un maestro delle elementari a Rocca di Papa era di 80 scudi, l’onorario annuo per la condotta chirurgica nel comune di Ceccano, a Frosinone, era di 168 scudi e per la bella e signorile fontana pubblica di Orvinio sembra guardare dall’alto in basso i distratti passanti, con un’aria di nobiltà e forse anche un pizzico di supponenza. Sa infatti quanto i suoi limpidi zampilli siano costati fatica e denaro sonante a tutti gli orviniesi: Il desiderio di avere una fontana pubblica perenne non fu infatti impresa facile da realizzare e ne è testimonianza la storia, ricca di colpi di scena, che ci accingiamo a raccontare e che precede di oltre sessant’anni l’inaugurazione della fontana pubblica attuale, avvenuta nel novembre del 1885.
Nel marzo del 1821 alle porte di Canemorto si presentò un livornese, un certo Francesco Doni, che subito riscosse “credenza di uomo perito nella Idraulica facoltà”. Già perché “la mancanza nel Comune di Canemorto di una fontana pubblica e perenne tenne mai sempre angustiato il popolo del medesimo”. Il nostro Toscano era infatti un assai abile millantatore ed il primo a cadere nella trappola fu niente poco di meno che il Governatore di Canemorto. Sembra infatti che “il Governatore allora di Canemorto si mostrasse pel primo credulo alle millantazioni del Doni”. Convinto dalle “sesquipedali parole, di cui van bisognosi gli Uomini di Toscana che il nostro perito nell’idraulica arte avrebbe reperito la tanta agognata Acqua, il Governatore di Canemorto ordinò il mantenimento di quel sedicente Idraulico a spese pubbliche fino a che tornato fosse da Roma a Canemorto Filippo Bernabei, facente funzione di Gonfaloniere”. Quest’ultimo, appena tornato a Canemorto, venne accolto come un novello pater patriae, tanto era il desiderio per la realizzazione di questa fontana perenne. Ma Filippo Bernabei, uomo evidentemente prudente, “non volle correre sì di galoppo come il Governatore avea caminato, né volle sbilanciare o parola, od arbitrio senza il voto e l’assenso di un Consiglio publico”.
Consiglio pubblico che sappiamo si tenne il 4 Aprile del 1821 ed in cui si discusse con toni animati, fino a rasentare il fanatismo, sul modo di finanziare la tanta desiderata opera pubblica. Filippo Bernabei, insieme a Giacomo Marcangeli, propose di anticipare la somma di 138 scudi per finanziare la spesa prevista, a patto di riceverne “in qualche modo il rimborso o per mezzo di riporto o nella esazione dei crediti della Comunità”. Questa somma era all’epoca, parliamo dello Stato Pontificio di Papa Pio VII, una bella somma di denaro. Basti leggere il diario di Roma del 1822 per rendersene conto: lo stipendio annuo di un maestro delle elementari a Rocca di Papa era di 80 scudi, l’onorario annuo per la condotta chirurgica nel comune di Ceccano, a Frosinone, era di 168 scudi e per volsero ad infondere nell’avventuriero sedicente Perito Idraulico Doni quella scienza che non avea né fare si che la bramata acqua si rinvenisse. Onde accadde che il Doni prendesse vergognosamente la fuga, e la misera popolazione di Canemorto rimanesse a dolersi dell’accaduto inganno”. Il nostro perito idraulico prese dunque la fuga, dopo avere intascato oltre 200 scudi, lasciando nello sconcerto i consiglieri comunali, già preoccupati dal come riparare i danni arrecati alla stalla della famiglia Taschetti.
I quali consiglieri si rivolsero subito alla sacra Congregazione del buon governo, ma questa “e disapprovando la impresa e rigettando le umiliate preghiere diede anzi ordine al Delegato di Rieti di prender cognizione di questo fatto arbitrario e di far gravitare sopra di essi solamente le spese finora occorse, ed anche i danni derivati ai Vicini, ed ogni altra relativa conseguenza”. Filippo Bernabei e Giacomo Marcangeli vollero, giustamente, essere rimborsati della spesa da loro sostenuta e ne nacque una accesa disputa con relativa causa legale, per noi lettori di Orvinium evento quanto mai fausto perché ha permesso a questa vicenda di scampare a due secoli di oblio e giungere fino a noi. Per mancanza di spazio non possiamo purtroppo dilungarci sulle alterne vicende di questa causa, lunga e complessa. Ci limitiamo a ricordare che in prima istanza il Segretario della sacra congregazione del Buon Governo, l’illustrissimo e reverendissimo Monsignor Giovanni Conversi, nell’udienza tenutasi il 26 Settembre del 1823, si pronunziò a favore di un rimborso delle somme versate “sia colla solidale condanna di ciascuno degli obbligati uti singuli sia colla condanna dei medesimi pro virili”. Ma proprio quando i nostri due protagonisti stavano per essere rimborsati il segretario del Buon Governo ebbe la brillante idea di morire, lasciando la causa in lascito al suo successore, il cardinale Mario Mattei.
Il quale, così almeno ci è dato di capire, in secondo grado di processo sembrò esprimersi a favore delle suppliche degli “autori di quell’acquatico sconcerto” (cioè i consiglieri comunali di Canemorto), di fare cioè “un riporto generale su tutta la popolazione per non sentirne eglino soli il peso di un più ristretto riporto e che andasse a colpire i soli supplicanti autori e complici della spesa incautamente incontrata”. Purtroppo, non conosciamo l’esito del processo ed il documento consultato per quest’articolo si interrompe, è proprio il caso di dirlo, sul più bello senza dirci come andò realmente a finire questa intricata faccenda giudiziaria che coinvolse la comunità di Canemorto negli anni Venti dell’800. Ma in fondo è meglio così perché ogni lettore potrà costruirne un finale a propria guisa. A me piace pensare che, dopo avere letto questa storia, i nostri lettori si soffermeranno davanti alla bella fontana pubblica di Orvinio e sorrideranno pensando “all’acquatico sconcerto” che l’ha preceduta ed al sogno, realizzato sessant’anni dopo, di averne finalmente una vera, fatta di pietra e non solo delle millantate, sesquipedali parole del nostro sedicente perito!
Da qualche anno a questa parte nelle nostre città si sta diffondendo una pratica sportiva sconosciuta ai piu’ma che con gran forza si sta impadronendo del tempo libero di molti. Nato poco piu’di cento anni fa in sud america e chiamato padel in lingua spagnola, sta ottenendo consenso anche qui in Italia con un buon numero di praticanti e tornei in aumento sempre più sostenuto.
Comunemente è considerato una via di mezzo tra il tennis,lo squash e i racchettoni da spiaggia,ma erroneamente! Il paddle, infatti, è uno sport a se!si pratica in due giocatori contro due,in un rettangolo di gioco 20×10 circondato da pareti di vetro.
Non troppe regole, ma importanti, la più significativa e che lo differenzia dal tennis è quella dei vetri delimitanti il campo che fanno parte anche essi del gioco,ovvero,se la palla rimbalza su tali vetri può essere respinta con la racchetta e mantenuta in gioco.
Vengono utilizzate racchette molto più piccole e piatte, forellate e non incordate come nel tennis. Il punteggio rimane invariato rispetto al tennis con la sola differenza che la partita si gioca sempre sulla lunghezza di tre set oppure in un tempo limitato in un’ora e mezza.per molteplici fattori il paddle sta diventando una sorta di fenomeno sociale che aspira a diventare anche disciplina olimpica nel breve.avere costi contenuti,di facile apprendimento,la possibilità di raggiungere un buon livello in poco tempo e l’opportunità di praticarlo sotto casa e”indoor”ovvero al coperto ne fanno uno sport divertente e accessibile ad uomini, donne e piccoli!tutto questo è sicuramente legato a doppio filo alla certezza di avere un sicuro beneficio fisico nonchè mentale!detto cio’il nostro comune,capendo il momento che stiamo vivendo tutti e cogliendo l’attimo,cercando e trovando fondi,sta riuscendo in breve tempo,a costruire un ottimo centro sportivo munito di campo da paddle di ultima generazione così come uno spettacolare campo da calcetto.la struttura è posta sul sito del vecchio campo da calcetto a san benedetto,di facile raggiungimento e sarà corredata di parcheggi e spogliatoi.non appena saranno terminati i lavori e saranno ottenute le dovute autorizzazioni,esorto chiunque a buttarsi nell’avventura di praticare sport e in particolare il paddle,per averne un ritorno in termini di salute fisica e freschezza mentale.
Ti piacerebbe raccontare la storia delle ricette della tua famiglia, tramandate di generazione in generazione? Hai inventato una tua ricetta e vorresti condividerla? Inviaci ricetta e storia a: redazioneorvinium@gmail.com
Insieme creeremo il primo ricettario di Orvinio
PIZZA AL FORMAGGIO
Mi ricordo quando mia madre cucinava questa Pizza di formaggio, io ero accanto a lei, ne faceva in quantità industriali! le regalava a tutti gli amici. Gli anni sono passati, sono cresciuta e queste pizze ho iniziato a farle io, lei faceva troppa fatica a causa della sua malattia ma lo stesso voleva che le regalassimo ai suoi amici. Finchè un giorno, ho trasformato la pasione per la cucina che lei mi ha tramandato, in un vero e proprio lavoro. Ora lei non c’è più ma le sue ricette e la passione sono ancora tra noi.
Dopo ormai un anno di convivenza con il SARS-CoV-2, virus responsabile del Covid-19, siamo tutti tristemente esperti di termini come lockdown, distanziamento, proteine spike, RNA… terminologia di uso comune grazie ai mezzi di divulgazione, ai dibattiti sostenuti da esperti, alle tavole rotonde con medici, politici ed economisti, alle novità sensazionalistiche buttate sui social per un “like” in più alle fake news rimbalzate da un canale all’altro con superficialità e mala fede. Il risultato finale: un frullatore di argomenti monopolizzanti che hanno mutato la nostra realtà in maniera radicale, rendendoci diversi da quelli che eravamo.
La cosa che più ci attanaglia è la mancanza di programmazione e l’impossibilità certa di un traguardo temporale da tagliare che ancora non vediamo. Questa estate cosa faremo? Ne saremo fuori? O magari il prossimo anno? Le attività riprenderanno? Per quanto tempo ancora dovrò portare la mascherina? Nasce così una “nuova patologia” che i nostri avi avevano conosciuto durante lunghi periodi di crisi come le due guerre mondiali e che oggi viene definita come “Pandemic fatigue”.
La fatica da pandemia è una risposta mentale alle situazioni associate alla crisi sanitaria che stiamo vivendo e che si stanno protraendo con risvolti di carattere sociale ed economico impattanti sulla tenuta della società stessa. Si diventa piano piano insofferenti alle regole che hanno cambiato la nostra realtà, ovvero le nuove abitudini che hanno ridotto la libertà di movimento e di relazione. Si abbassa la guardia, si fa più pressante la voglia di normalità e autodeterminazione dei propri comportamenti, con il rischio reale di infrangere le prescrizioni legislative esponendosi a rischi sanitari.
Questo perché, se nella prima fase della pandemia avevamo le risorse individuali e comunitarie per rispondere allo stress causato dal timore per la salute, ora le energie vanno esaurendosi e la novità non è più tale. La minaccia dei pericoli diventa più familiare e quindi meno impellente. Ci si abitua al pericolo, fino a normalizzarlo e dunque ci proteggiamo di meno. In molte persone inoltre uno stress prolungato porta ad una vera e propria serie di sofferenze come ansia, irrequietezza, disturbi del sonno e della condotta alimentare, spossatezza, depressione, utilizzo di sostanze psicotrope (soprattutto quelle legali come fumo, alcol e gioco d’azzardo) sino nei casi più estremi ad una vera e propria negazione del pericolo.
Ma come possiamo difenderci dallo stress? Innanzitutto dovremmo capire cosa attiene a noi e cosa dovrebbero fare gli altri. Ad esempio il governo centrale e le istituzioni locali (attraverso la comprensione della sofferenza dei propri cittadini senza limitarsi ai soli provvedimenti punitivi ma anche azioni propositive) i mezzi di comunicazione (in grado di raccontare la realtà senza terrorismo e infondendo una speranza realistica di superamento della crisi). E noi? A noi aspetta il difficile compito di accettare il fatto che siamo stressati e stanchi, cercando, per quanto possibile, di praticare tutte quelle attività che ne abbassano i livelli, come l’attività fisica, che si può fare anche in casa, lo yoga, la meditazione, la ginnastica dolce. Ma anche vedere i film che ci piacciono, i programmi televisivi che ci rilassano e allentano lo stato di tensione. Evitare magari di restare sempre in contatto con le notizie ma informarsi con regolarità per capire cosa stia accadendo senza sovraesposizioni.
Non serve vedere tutti i TG dell’intera giornata o seguire tutti i dibattiti, non serve collegarsi ad internet per sapere “i numeri di oggi”, ricordando che non sono numeri ma persone, come noi. Non dobbiamo sottovalutare la nostra situazione, ma ascoltare il corpo e la mente ed i segnali che ci invia (carenza di sonno, facile irritabilità, incapacità di assolvere ai propri doveri). Se ci sentiamo sopraffatti da sensazioni negative parliamone con un medico, perché mai come ora chiedere aiuto è un diritto inalienabile. Dobbiamo continuare a volerci bene, nonostante tutto, e a voler bene a chi ci circonda mediante il distanziamento fisico e non sociale. Ricordiamoci di fare qualche telefonata in più, mandare un semplice messaggio per sapere “come stai” e non dimenticarsi dei bisogni altrui che sono gli stessi nostri. Laviamo le mani, indossiamo correttamente la mascherina e esentiamoci oggi più di ieri una comunità.